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umbria24.it - E li chiamano matti. Serata tra musica e allegria al Centro di salute mentale: «Fondamentale aprirsi»
Festa organizzata in tutto e per tutto dai 25 pazienti che frequentano il centro diurno di Ponte San Giovanni: «Qui si fa tutto, anche il prato e l’orto»
di Sebastiano Pasero
Il ragazzo che non fa rumore suona la chitarra, gli accordi sono sempre quelli ma le corde di nailon lacerano l’anima. Il laureato in filosofia, che per la malattia ha smarrito la strada alla cattedra, ha tagliato l’erba seguendo traiettorie tutte sue e stasera il prato è perfetto. Come il trucco della signora che, per cucinare, ha riposto nel cassetto le sue fobie e ora si gode la festa. Sulla pedana illuminata manca solo il ragazzo che si nasconde dietro la colonna, è il più intonato di tutti, è arrivato fino alle prove generali, quelle del pomeriggio. E forse questo è già un traguardo. A Casa del Diavolo, poche sere fa c’è stato un party che avrebbe fatto la gioia di qualunque villa della zona: musica di grande intensità, illuminazione suggestiva, cena a buffet da catering, con gli amici che hanno portato la birra artigianale che va giù che un piacere, l’olio che rimane al palato, una porchettina che si scioglie in bocca, il formaggio stagionato, la frutta non trattata. Tante persone avevano voglia di passare una bella serata.
Serata speciale Ed è stato così in una festa organizzata dai 25 pazienti che frequentano il centro diurno della Asl, gestito dalla cooperativa Polis, sotto la direzione del Centro di salute mentale di Ponte San Giovanni. Una cena che si è avvalsa di tutti coloro che questo centro dai cancelli spalancati lo hanno nel cuore per tutto l’anno: organizzano camminate nel bosco, coltivano l’orto, allevano le api, curano il grande parco verde. Una serata con i bambini che corrono, con i brindisi di vino liquoroso, uno degli sponsor. Una serata in cui i contorni di chi è in cura e chi non lo è sono impossibili da tratteggiare.
Mutande pulite È la psichiatria del fare. Quella che parte da cose apparentemente semplici ma che fanno la differenza. Il traguardo delle mutande pulite: «Se un paziente puzza, si trascura, è destinato immediatamente alla emarginazione. Nessuno si avvicinerà a lui, è fisiologico. Portare una persona ad avere cura del suo aspetto è un traguardo importante, è il primo passo per aprire un nuovo cammino», dice Francesco Arena, assistente del centro.
Stare insieme È la psichiatria dello stare insieme. Un insieme composito. «Il paziente che vede solo altri pazienti ha sempre la stessa visione, è fondamentale avere relazioni diverse, frequentare persone che possono dare stimoli nuovi». Non è un caso che alla festa di Casa del Diavolo si beva la birra di una piccola azienda del paese, ‘La gramigna’, si mangi la porchetta prodotta a pochi chilometri e tagliata dai sorrisi di Giancarlo. Il miele di Daniele Pelliccia è dolcezza, come il volto di Valter l’organizzatore di escursioni in montagna, le ballate di Andrea Volpini e Rossano Emili, che traducono in musica i racconti dei pazienti del centro, sono ammalianti. Non è un caso che ci siano i rappresentanti della Fondazione Geld che nell’occasione si sono trasformati in agenti immobiliari: «Metteremo a disposizione, chiaramente gratuitamente, un appartamento dove possano vivere due pazienti del centro diurno. Se questo progetto di autonomia avrà successo, faremo di tutto per portarlo avanti».
Dare e avere Alla festa di Casa del Diavolo quello che è un po’ il direttore d’orchestra se ne sta in disparte a guardare il tutto: «Vedere i pazienti, le loro famiglie, gli operatori, gli amici del centro, quelli che ci vogliono bene – dice Luca Natalicchi, il responsabile del Csm di Ponte San Giovanni – è una cosa importante, ma è ancora più importante quello che sentiranno i nostri vicini, perché questa bella musica, le luci, le persone che entrano ed escono, arriveranno anche a loro e sono convinto che lo restituiranno con sguardi e con parole di fiducia verso le persone che frequentano questo centro». A parlare uno psichiatra che cerca di fuggire dalle parole: «È un po’ il difetto della nostra categoria, quello di analizzare tanto, ipotizzare cause e fornire perché gratuiti, ma agire poco. La cura della malattia è un percorso tortuoso e complesso, con una ricerca scientifica ferma da anni e con farmaci che offrono soluzioni parziali».
Solitudine La malattia mentale crea scompiglio mentale: «È difficile da accettare, da gestire, spesso le famiglie sono travolte». La solitudine l’effetto collaterale più pesante. Si sente emarginato il paziente, abbandonata la famiglia e anche lo psichiatra non si sente in compagnia: «Le scelte ricadono su di te, devi fare molto e il molto allora diventa un tutto invalicabile». Concentrarsi, piuttosto, sui passi che ti portano alla montagna: «Noi ci riappropriamo delle piccole cose. La nostra è una esperienza di un fare quotidiano, perché questo può fare una grande differenza nella vita dei nostri pazienti».
Candele È la psichiatria delle tante candele, quelle disseminate sul prato, che rischiarano l’incubo: «La cura è possibile, è possibile prepararsi un pasto, fare la spesa, saper gestire delle relazioni interpersonali, tutte cose che le cosiddette persone normali fanno senza porsi tanti interrogativi ma che invece per il paziente psichiatrico sono una conquista». Al centro diurno di Casa del Diavolo, si fanno cose che forse non portano in Paradiso ma ti avvicinano a una vita normale: «Il senso non è portare i pazienti in cima al Mondo che è comunque un altrove, ma farli stare tra noi e costruire un percorso di esperienze riproducibili». Traduce in attività la cooperativa Polis, che si occupa della gestione: «I laboratori di cucina, di cura del proprio aspetto, così come il camminare, il sapersi esprimere con la scrittura, la musica, la coltivazione dell’orto sono elementi di autostima e di conquista», dice Monica Marcelli, la coordinatrice della cooperativa.
Il tagliaerba È la psichiatria del cantare. Neanche i dottori si sottraggono alla pedana e la giovane psichiatra canta canzoni brasiliane mentre i suoi colleghi parlano di un nuovo tagliaerba. «Prima il prato e l’orto lo curavano la Comunità montana, oggi siamo riusciti ad avere una macchinetta, e lo facciamo da soli non ci sentiamo assistiti, ma ce ne vorrebbe un’altra». Dottori, pazienti, operatori, benefattori, amici si salutano tutti con una stretta di mano, molti si abbracciano. I genitori guardano e sarebbe troppo facile guardare, ora, nei loro occhi.
Fonte: umbria24.it
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